E sia recensione su Gioianet

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“E sia”, titolo essenziale ma immenso, tratto dalla più ermetica delle sillogi. Un titolo perfetto nella grafica sobria della copertina elegante e semplice - bianco avorio bordato di losanghe grigie -, che racchiude in sé la potenza primordiale e primigenia della resilienza. Concede ed impone, è resa e sfida… Una scheggia di salvifica poesia cui aggrapparsi per non sprofondare nel baratro della notte, in attesa dell’alba.

Scorre fuoco liquido in quest’opera di Grazia Procino - sua seconda, preziosa silloge poetica data alle stampe in estate dall’editore Luciano Ladolfi e splendidamente recensita da Giulio Greco - che il 15 ottobre sarà presentata a Santeramo in Colle alle 18.30, presso la biblioteca "G. Colonna". Dialogheranno con l’autrice la professoressa Stefania Santelia del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Bari che si soffermerà sulle sue poesie e sulla bellezza della Poesia, ed una esponente della Casa delle donne del Mediterraneo.

Le parole di “E sia” travolgono e sconvolgono, scorrendo irruenti nell’alveo di un classicismo placato dall’intima conoscenza della letteratura greca. Vorticano tra i mulinelli dei sensi, sopravvivono alle insidie del canto della ragione, al richiamo di porti sicuri di sapida quiete. È il tormento a dar loro vita, in bilico tra le provocazioni della contemporaneità e paradigmi arcaici di architetture che si specchiano in simmetrie senza tempo.

Un esempio? “L’eden è qui lussureggiante di sensi./Il tocco delle mani è/estasi, estasi, estasi”, quarto stasimo tra tralci poetici di riti bacchici. Ed ancora in “Elegia della terra di nessuno”, prezioso inserto nelle pagine di “Storie di donne e di uomini”, “Il confine tra lacrime e baci / è la terra che non voglio varcare…”.

Riti “misterici” al confine tra passione e spiritualità in cui il dolore con assertività travalica spazio e tempo, tra il tormento di sensi ebbri di desiderio e l’amplesso cui la ragione si nega.

In questa spirale di pensieri che con lucidità trascina nei meandri più cupi dell’animo, la ricerca della verità, stella polare e musa dei poeti di ogni tempo, esercita un irresistibile richiamo. Immergersi dove sedimenta ogni consapevolezza per poi risalire e lasciare che le parole sgorghino limpide, conferisce ai versi un peso specifico densissimo che pur non ne scalfisce la levità e la bellezza.

IO PAPAVERO AI BORDI/DI UN ASFALTO AL CATRAME…

L’esergo iniziale “Io papavero ai bordi/di un asfalto al catrame”, per Giulio Greco un “enigma ossimorico professione di nobiltà o confessione di solitudine”, evoca l’effimera bellezza di un fiore delicato che nella sua breve vita dona oblio, ai margini dell’asfalto, così come la poesia ai margini della realtà, la condiziona donandole bellezza…

Ancor più che ossimoro, metafora di vita, della sua caducità, di delicata e al contempo sfacciata seduzione che solo questo fiore sa esprimere. Un rosso brivido nel vento, sbocciato per caso al confine tra la vita che scorre ed il nulla di una manciata di terra. Setose ali mosse dal vento accarezzano il nero seme dell’oblio sul ciglio della realtà e nutrendosi di poco, ingentiliscono l’aridità delle sterpaglie che invadano quel segmento poetico dell’esistenza.

Nel prologo e tra “Cielo e terra” i miti di Odisseo e Prometeo ancorano i versi ad un passato di inaudita attualità. Ad opporsi al destino, ancorata alla speranza non poteva che essere lei, Penelope.

“Ho pensato durante il rovescio/al disfarsi dell’universo” nell’attesa “di nuovi odisseo che “rinunciano all’immortalità/ fieri della propria finitezza effimera.”

E la poetessa è attratta dalla finitezza della morte, intesa come estremo cambiamento per esplorare nuove dimensioni intrecciate in una spirale che Giulio Greco svela e traduce in una “mescolanza senza soluzione di continuità di tre elementi: il classicismo, strumento di comprensione della realtà, lo smarrimento del presente, la narrazione di un amore”, i quali “si uniscono, si dividono, si completano, sviano e corrono paralleli…” esprimendosi in una varietà di linguaggi, “eloquenti spiragli di senso, lessico chiaro, sintassi sorvegliata e solenne...”

I SOGNI VANNO DIFESI…

E’ spesso sottile il confine che separa passato e presente. L’uno lambisce l’altro sfumandone i confini, creando portali di condivisione per flussi di emozioni che sgorgano da un’unica sorgente per poi frastagliarsi in mille e mille rivoli.

In “Mater dolorosa” una grande verità: “I sogni vanno difesi,/ma quando oltrepassano/ i limiti di una natura tradita/ recano danni incalcolabili.”

Vi è una saggezza antica nelle parole, che reca l’impronta di passi classici, sedimenti di drammaturgica, teatrale, poetica bellezza rivenienti dalle passioni di cui la poetessa si nutre e che dispensa ogni giorno ai suoi studenti.

Grazia ritrova nel passato risposte ai quesiti esistenziali del presente, il suo filo d’Arianna è l’amore.

“Ho vita limitata ai tuoi abbracci/che lambiscono i miei fianchi/ docili non più insolenti” e nel poemetto “aderenze di anime/ negli spazi vacanti” mentre “le sillabe d’amore balzavano sugli occhi/ sulle labbra/ trovavano asilo caldo e avvolgente.”

Orfeo ed Euridice sono qui “in spazi di compassione”, per ricordare quanto sia importante, nel momento in cui si perde l’amore, riconquistarlo amando “il mondo anche quando mi viene contro.”

“I tuoi occhi mi parlano/ nella grammatica silenziosa che noi sappiamo/ il tuo sonno arreso nel mio abbraccio/ mi rende madre del mio amore...”, versi in chiaro scuro di rara bellezza per descrivere l’amore ne “La Veglia”, dedicati a chi “non sa “…dell’amore che le onde alte” perchè “…ognuno manca di qualcosa”.

FA DI PIETRA IL SUO CUORE E L’ANIMA RENDE DESERTA…

Non solo in un raccolto, intimo silenzio, ma nelle voci dei cori e nelle monodie recitate che questo libro va ascoltato, remigando tra passato e presente, tra tragedie e cronaca, intercettando nel primo stasimo la prima raccoglitrice di pomodori in terra di Puglia che “fa di pietra il suo cuore e l’anima rende deserta” tra l’indifferenza di quella humanitas che fugge, preludio di morte.

Un tuffo nel presente, nei problemi del caporalato, nella fatica, nel mancato rispetto di diritti ieri come oggi. Grazia Procino non rinuncia a denunciare il presente nell’acme della liricità latina. Non è casuale il riferimento a Konstantinos Petrou Kavafis: la felicità che provoca negli altri dolore, si può solo vivere o rinunciarvi, nel qual caso nessuno avrà cura del suo gesto. Ma la libertà ha un prezzo.

Il tema della solitudine sfiora il metafisico… “Da quando gli uomini non dialogano più con gli dei, combattono demoni impetuosi nelle loro menti, vivono liberi/ma soggiacciono al destino famelico/alla moira dal volto impeccabile/perfetta/ con dita laccate di nero”.

Versi di intensa drammaturgia, da ascoltare in teatro, recitati all’interno di una coreografia in cui passato e presente si fondono, per poi ridividersi in segmenti di bellezza.

L’humanitas - leggiamo - è fuggita e con lei tutti i valori, niente più oracoli, amore confinato nei ricordi come per Euridice figura mitologica che evoca abbandono, silenzio, malinconia…

“E sia” - scrive Giulio Greco - ha la struttura di un dramma greco, si apre con il prologo, si snoda nella sua partitura con gli stasimi cantati dal coro e le monodie e si conclude con un epilogo. L’autrice va alla ricerca del’antica madre, la Grecia, origine della cultura e della civiltà occidentale, per scoprire il cuneo d’ombra della contemporaneità, la verità brutale e terribile che va però guardata negli occhi per assaporare la sostanza di essere interamente uomini.”

Dalle Radici a Odisseo, da Prometeo alla terra, dall’asfalto combusto, simbolo di città derelitte e di fuga senza più ritorno, alla drammatica afasia della Sibilla, incapace di vaticinare il futuro di una umanità senza futuro, da Edipo che “… sparge con le mani ruvide/i segreti di un uomo che non/seppe sconfiggere gli oracoli/ a “E sia”, quando “… ci si aggrappa a tutto/pur di non sprofondare /anche nella notte”, l’umanità si svela in ogni suo più intimo segreto.

Nella scelta dei titoli che segnano questo percorso poetico, una meditata ricerca di senso.

“Infine di festa”, “Il cuore sotto le scarpe sporche”, “Per ogni paese addormentato d’Italia” dove “…il rito scorticato dal sole imbrunito prevede/l’ascolto religioso del vento…”, ed ancora “Epigrafe”, “All’amica in attesa di venire risanata” e “Ruina” per porre domande che possono sconvolgere ... “pensavamo di essere uomini,/fummo relitti frantumati al canto delle Sirene, perché alla fine le tentazioni ci frantumano e perdiamo noi stessi” ed infine “Pietre vive”, dove “I silenzi delimitano gli spazi del quotidiano”...

Non un semplice libro, ma il racconto in versi di una umanità che attraversa il presente in cammino verso il futuro, con lo sguardo volto al passato. Un’opera preziosa ed imperdibile!

RITORNO AL PRESENTE

Un anno denso di emozioni, successo e soddisfazioni quello vissuto da Grazia Procino. Dopo l’importante riconoscimento tributato a "Soffi di nuvole", finalista in due sezioni ed insignito il 21 settembre del Premio Speciale “Onirica” nella sezione del libro edito del Premio Nazionale Poetika 2019, quello del 15 ottobre è il primo appuntamento letterario autunnale che vedrà protagonista la poetessa gioiese, impegnata più spesso nell’altro versante, ovvero nel presentare autori nei progetti scolastici.

Un 2019 che l’ha vista Ipoet di gennaio di Lietocolle, con una sua poesia selezionata dal poeta Vittorino Curci e pubblicata in primavera sulla Repubblica di Bari. A giugno il poeta Maurizio Cucchi ha scelto di pubblicare una sua poesia sulla Repubblica di Milano, mentre a febbraio, al suo esordio con la prosa, ha pubblicato una raccolta di racconti “Storie di donne e di uomini” presso Quaderni Edizioni che tante soddisfazioni le sta riservando.

“Bisogna credere sempre in se stessi e nei propri sogni!” ha commentato Grazia, docente di Lettere classiche presso il Virgilio, appassionata di lettura e nostra preziosa redattrice, che da anni cura una sua rubrica di letteratura classica dal titolo “Allois ophtalmois” sul blog letterario “Diario di pensieri persi”.

Il suo esordio poetico risale al febbraio del 2016, quando sono stati pubblicati tre suoi haiku nel volume “Haiku tra meridiani e paralleli III stagione” edito da Fusibilialibri.  

“Soffi di nuvole” la sua prima raccolta di poesie, edita da Scatole parlanti risale a marzo 2017 ed ancor oggi, a distanza di due anni, fa parlare di sé.

 

Dalila Bellacicco