Appunti da una conversazione con Costanza Lindi su Come Bava di Lumaca

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Nel dicembre 2018 esce, per Ladolfi Editore, Cerchi e polsi di Costanza Lindi, che porta avanti il discorso, tematico e stilistico, iniziato con Accordatura della stasi (Kammer, dicembre 2017).

Già in questa raccolta compariva un percorso orizzontale, legato all’incisione (Accordatura della stasi è diviso per matrice, prototipo, tiratura, barbe, timbro a secco, posa), che terminava con un timbro che non viene fatto, una scrittura che non viene impressa.

Una crisi della scrittura che parte dalla consapevolezza dei limiti del mezzo.

La scrittura non può rappresentare: se scrivo ‘bicchiere’ non ti ho davvero messo un bicchiere tra le mani – mi dice Costanza con il candore di chi ha detto una cosa ovvia, che però va detta per prenderne coscienza.

La realtà è “concepibile, irrappresentabile” (dalla nota dell’autrice a Cerchi e polsi).

Da qui l’attenzione di Costanza per il silenzio, per il vuoto, per ciò che accade mentre non scrivo, per ciò che accade alle cose mentre noi non ci siamo.

In Accordatura della Stasi Costanza impara l’attesa, allo spazio orizzontale aggiunge la verticale del tempo, della clessidra, impara a osservarsi e a osservare.

Dall’osservarsi il nominarsi, dall’osservare il nominare.

Provando a riprendere in mano la scrittura, a farla uscire dal corpo, dal sentire.

Così in Cerchi e polsi si appella ad un altro linguaggio ancora.

Dove non può arrivare la scrittura deve arrivare l’immagin(azion)e, il simbolo, il segno.

Un linguaggio fatto di segni e simboli, di movimenti e gesti, di consistenze, per dire quello che altrimenti non si riesce a dire.

“giurai a me stessa di scrivere di tutto” (p. 11)

“da una narrativa che non esce” (p. 12)

“scrivo perché non coincide lo stesso / viziata comunque / nel disegno e nel segno” (p. 41)

“è dove non c’è parola / che mi unisco / e torno” (p. 44)

“non vorrei tacere / come te / ma riesco a scriverne solo / partendo dal fondo” (p. 45)

L’io scrivente (o immaginante) si muove come una piccola Alice tra le varie dimensioni, alla ricerca di una direzione.

Qui il percorso spaziale si fa più scientifico e geometrico (dall’adimensionalità del punto alla quarta dimensione irrappresentabile dell’ipersfera, passando per la retta, per le due dimensioni della circonferenza – cerchio di pupilla che osserva – e le tre della sfera, in un continuo tornare di forme tonde come i cerchi di fumo del Brucaliffo).

Il rapporto con il tu è solo un espediente tra cui muoversi per tentativi di concretizzare.

Le cosa passa dal corpo, dal sentire delle mani, che provano a disegnare ciò che non si riesce a scrivere.

“notizia sotto le unghie / capelli che sulle spalle piantano parole” (p.14)

“nella penuria di consistenze / in apnea masticavo caramelle dure” (p. 26)

“sei uscito presto stamattina / ora ho più spazio / e non ho più braccia” (p. 36)

“disegnavo l’abbraccio / ne coloravo la comodità” (p. 41)

“con la forbice della vista / traccio orizzonti verticali” (p. 43)

La sensazione è che questo di Costanza sia un percorso ancora aperto, una ricerca ancora non terminata, che porterà presto ad altre specie di spazi.

Partendo dal fondo:

*

È da qui che ti accarezzo

da questa sedia forse come la tua.

Faccio segni con le mani e le dita

a raccogliere ciò che

non è nel mio silenzio.

Nella mia stanza tu

non vuoi che dica nulla,

mi invade il vuoto circolare

di noi due immobili

smaniosi a distanza

della nostra arte

senza storie né scie

ma solo cerchi e polsi

e aria e pelle e silenzio.

*

Se esiste un profilo del silenzio

dalla fronte al mento

mi limitavo a tracciarlo con le dita,

annodarlo come elastico.

Nella penuria di consistenze

in apnea masticavo caramelle dure.

Attendo di essere annodata

dalla fronte al mento

proprio mentre attendo.

*

Che salti fuori dunque

il mio nome

da me.

Posso sbucciarmi

aprirmi come noce

per spogliarmi

della parola che ho dentro

e rivestirmi poi di

consistenze

che posso scrivere.

Chiudere il silenzio

che ne resta

che posso sopportare.

*

Forse le cose aspettano che le chiamiamo.

Forse ci osservano tra loro

tentando di dire

cosa senza gesto è cosa.

(da Cerchi e polsi, Costanza Lindi, Ladolfi Editore, 2018)