Un passaggio esemplato dal poemetto La violetta notturna, da cui l'intero volume prende il titolo, mutuando una scelta che era già stata di Renato Poggioli per la sua antologia blokiana del 1933. Pucci torna oggi sui passi di coloro che lo hanno preceduto, lungo il sentiero che, inaugurato da Poggioli, venne battuto da Angelo Maria Ripellino ed Eridano Bazzarelli, con l'idea di offrire al lettore italiano ancora una chiave di accesso al mondo denso di suggestioni di questo poeta.
Non polveroso florilegio di versi dimenticati, emblema di temperie tramontate, è questa nuova traduzione, ma poesia viva che ci raggiunge e ci tocca, soprattutto nei momenti traduttivi più felici, quando dell'originale riesce a riprodurre il segno nervoso, racchiuso in ipnotiche volute, mutandolo in strofe italiane preziose, scosse da tremiti espressionistici. Come nella resa di una lirica del luglio 1902, di cui la prima quartina recita: “È orrendo il freddo delle sere,/ battono inquieti i loro venti,/ per strada, trepide chimere,/ fruscii di passi inesistenti”. Versi che si rivelano come lampi di intertraduttività pura, in cui la grana ripelliniana viene affinata ancora, inglobata nelle proprie trovate.
O come nella strofa che apre il poemetto del 1914-1915 intitolato Il giardino degli usignoli, in cui il raffinato poeta si finge cavatore di pietre: “Spezzo lo schisto sul fondale/ melmoso, all'ora del riflusso/ ed il mio asino fiaccato/ trascina i pezzi sopra il dorso”. Il virtuosismo metrico del traduttore riconduce la scansione dell'originale alla sua propria sede, senza mai farsi vincolare dalla lettera del dettato sintattico blokiano eppure attentissimo a restituirne il torpido, stralunato alone incantatorio.
Tutto il più umbratile, sublunare Blok delle prime raccolte che ci viene incontro da queste pagine abita spazi limitrofi a quelli attraversati dai poeti curati in precedenza dallo stesso traduttore per i tipi dello stesso editore. Ci riporta all'aura crepuscolare che alberga nei versi radunati nel Libro dell'insonnia di Innokentij Annenskij (2011), impareggiabile maestro di Anna Achmatova. E all'inframondo caustico di Vladislav Chodasevič, perennemente immobilizzato in composte disperazioni, di cui viene ritagliato, nelle Quarantuno poesie (2014), il ventennio che va dal 1907 al 1928 e si ferma alle soglie della Notte europea regalataci in traduzione da Caterina Graziadei nel 1995. Delineando così un primo trittico, in attesa di ulteriori ampliamenti.
Paola Ferretti