Né padri né madri - review by Roberto Carlo Delconte

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THE TRUTH INSIDE A WORD

Over the past few days I have been reading and re-reading the new book by Marco Giovanni Maggi, the entrepreneur from Castelnovese, who has now published three books of poetry, with several awards at important national prizes (and being an 'entrepreneur' and a 'poet' enriches both sides: since economic operators often lack the necessary sensitivity, culture and imagination, while the latter sometimes lack a healthy pragmatism and sociality). It is an original "poem" divided into three sections, which tells the story of the author's emotions and feelings - in many lines held back with great reserve, in others released with strong if not sharp expressiveness - the times and circumstances of our restless life. I will say at once that the subtle thickness of the book should not deceive: the pure text (apart from the preface by Ivan Fedeli, the introduction and the biographical note) is contained in little more than twenty pages; nevertheless they are so dense and extraordinarily rich that they must be tackled like a novel of at least one hundred and fifty pages (how? Simply by rereading them at least three to five times to fully grasp their meaning and value.) Each word is designed to correspond to the poet's inner reasons, so it has an enormous specific weight. In this regard, then, how can we fail to mention the happy intuition of the Castelno writer Pier Angelo Soldini, who wrote: "Truth comes more easily from a word than from a speech" (in "La forma della foglia"). And it requires to be patiently listened to.

 

 

 

Bella, poi, la dedica a due coniugi (Anna e Mario) legati all’infanzia dell’Autore, il quale ricorda il loro affetto, la loro calda umanità, la loro semplicità di vita con alcuni versi di felice ispirazione: “le sedie fuori dalla soglia di casa/ quasi fossero il proscenio/ del teatro aperto sulla via”, con la chiara allusione al fatto che la loro straordinaria ospitalità rendeva la loro casa sempre aperta e accogliente oltre misura.

Gli spunti che la lettura di questi versi offrono sono molti, pertanto mi limito a qualche rapida sottolineatura. Prima di tutto, mi sento di poter affermare che se è vero che il “tempo” del poemetto è il “presente” (che ricorda il passato, vive il presente e progetta il futuro), ognuna delle tre parti potrebbe essere dedicata (come Sant’Agostino insegna) ad una “modalità temporale” specifica per viverlo: la prima al “passato” (che rivive al presente mediante il ricordo); la seconda al “presente” (come attimo della maggior consapevolezza) e la terza al “futuro” (anticipato al presente mediante l’attesa). I migliori ricordi dell’infanzia diventano attimi di vera gioia che “adesso sembrano lasciati lì, come/ lenzuola stese al sole ad asciugare,/ quelle in cui ci si tuffava da bambini/ immaginando le nuvole/ su cui far crescere i nostri sogni” (pag. 20). Si arriva, poi, ai problemi attuali, alla frenesia tecnologica, “dov’è riposto un pensiero a cristalli liquidi,/ una luce sintetica che sfiora/ la banalità del nostro esistere” (pag. 31). Ai temi del lavoro e dell’economia (davanti… alle nuove chiese della finanza, i cui “rosoni, quasi fauci spalancate/ sempre pronte a divorare anime”, pag. 35). Per terminare – pur nell’umile consapevolezza della propria fragilità (“per questa aria da recluta della vita/ che certi giorni ancora indosso,/ con questa maledetta/benedetta educazione”, pag. 37) – con un fiducioso sospiro nella “fantasia della vita”, la quale aiuta a capire che “menzogna e paura sono demoni/ a cui si deve sbattere la porta in faccia” per spegnere questo troppo che ci affligge e dipingere “il mondo con nuove tinte/ per allontanare la morte/ per esorcizzare la notte” (pag. 41).

Come ci insegna Papa Francesco “tutto il mondo è connesso”, perciò occorre superare il vero e proprio “scisma” che si registra “fra il singolo e la comunità umana” (“Fratelli tutti”, n. 31), per costruire una vera civiltà dell’amore. Anche a partire dalla poesia, e dalla sua tenue ma efficacissima voce, che ci risveglia e ci fa vedere la realtà con altri occhi.

Perché “la mancanza di un senso pesa, rende orfani” (così Ivan Fedeli).

Roberto Carlo Delconte