"La terra del miele" su La Nuova Sardegna

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 NuovaSardegna«Luigi Natale è un poeta e sogna, pensa, ricorda e scrive da poeta». Poche parole prese in prestito dalla presentazione per inquadrare subito “La terra del miele”, sottotitolo: “Racconti di Sardegna e d’altri mari”, appena uscito per i tipi della Giuliano Ladolfi editore, di Borgomanero (Novara). La nuova opera letteraria di Luigi Natale, nato a Orotelli, classe 1957, nato a Orotelli, il paese del grande Salvatore Cambosu, da una vita a Pordenone dove lavora come focus manager.

“Migrante” per motivi professionali e “nomade” per vocazione, ha lasciato da tempo la Sardegna e la carriera sportiva, dopo aver militato in serie A e B, giocando anche con il Cagliarin e in Nazionale under 17 (ha giocato anche con la Nuorese). Poeta nel sangue e per passione, ha pubblicato diverse raccolte, dall’esordio del 1998 con “Ospite del tempo” (Del Leone) a “Il telaio dell’ombra” (Florence art, 2001), da “Orizzonti sottili” (Manni, 2005) a “L’orlo del mondo” (Landolfi, 2012).

Ora esce con questo nuovo volume, il quinto, “La terra del miele”, ancora fresco di stampa (vedi www.ladolfieditore.it). «La sua vena immaginifica a avanti la presentazione – è talmente connaturata in lui che, anche quando si accinge a stendere racconti, rimane aggrappata a una dizione essenziale, ricca di immagini e di echi interiori, illuminata da colori, da luci, da sapori, da profumi: “Beniamino aveva spillato i suoi grandi occhi verdi e innocenti giù in fondo alla strada sterrata, da lì sarebbe arrivata la novità dell’autunno”».

«I riverberi dei ricordi non cedono mai né alla nostalgia né alla pura e semplice elegia, ma si testimoniano amore per la vita, un modo positivo di concepire il passaggio su questo pianeta, una misura attiva nell’affrontare le difficoltà e il dolore».

«Uno dei tratti caratteristici di questi racconti va individuato nello stupore con cui i suoi personaggi guardano il mondo; ognuno di essi, pur con caratteristiche individuali, si trova dentro agli occhi (ecco il poeta) una realtà sempre nuova, sempre coinvolgente, sempre interessante; essi sanno vedere la luce e le ombre, le pietre e i leoni; sanno scoprire il segreto delle farfalle e lo trovano non con la mentalità dello scienziato, ma con il gusto e la saggezza del contemplatore, anzi, del mistico, dell’asceta, che ha imparato a sconfiggere le angustie dei sensi per aprire sul mondo lo sguardo trasformato e integrato dalla fantasia, mediante un atteggiamento che non va confuso con quello di un fantasticatore, ma va concepito come quello di un visionario, di un profeta: “Qui crescevano fio-

ri anonimi, belli come tutti gli altri, che sapevano e sanno durare molto più a lungo”».(l.p.)