Noemi De Lisi è una narratrice: non c’è dubbio. Ma che razza di narratrice è? Non è certo una narratrice da romanzo, non ha né l’istinto affabulatorio dell’autore di romanzi “popolari” (aggettivo che va preso nel bene e nel male) né l’istinto costruttivo e formale dell’autore di romanzi “colti” (aggettivo che, pure, va preso nel bene e nel male). Noemi De Lisi è una narratrice, ma mi sento di profetare che non scriverà mai un romanzo – o, se lo scriverà, sarà di milleduecento pagine e sarà bellissimo e illeggibile (entrambi gli aggettivi vanno presi solo nel bene). E dunque? E dunque, Noemi De Lisi è una narratrice che è riuscita, finora, a scrivere (e a pubblicare qua e là) alcuni racconti in prosa imbarazzantemente vicini alla perfezione; che è riuscita a scrivere (e a pubblicare qua e là, facendosi notare) alcuni componimenti in versi che no, sicuramente non erano “lirici”; e che ora ci presenta, qui, nella raccolta “La stanza vuota”, un oggetto raro nella produzione letteraria italiana: un poemetto, o un incastro di tre poemetti, a scelta (e non cambia molto), comunque una roba continuativa di qualche centinaio di versi e quasi quarantamila battute (Giulio Mozzi).