Il dolore, peraltro, provoca una ricerca e una sedimentazione di quell'altro mistero di cui non si può fare a meno e che è il ricordare: “Il luogo ci scorre dentro e diventa simbolo”. Ognuno ha una geografia personale (“...cammino in quel giardino ,/cercando il nostro incontro,/ nessuno mi vede”) nella quale torna con gli altri o per evocare gli altri, evocare l'assente. Si dà vita così a un processo di levigazione, necessario, ma dal quale bisogna uscire (“E' ora di parlare/ di quando si comincia/ ad assimilare le foto).
Le fotografie sono uno strumento potente per alimentare i ricordi. Gli indiani le temevano perchè sostenevano che rubassero l'anima, che fermassero la vita. Questo assunto mi pareva assurdo, ma oggi comincio a capirlo meglio. Se si vive dell'immagine di sé e degli altri, si prende una strada pericolosa. Tutto serve, credo, a una risposta. E' interessante, a questo riguardo, il percorso di riappropriazione degli altri e della città “che emerge dalla carta”, per tornare ad abitarci essendo presenti a se stessi e agli affetti che si hanno e a quelli nuovi che si affacceranno.
Michele Brancale

