Cosa rimane, dunque, al poeta che sa rinunciare per consapevolezza metafisica al barocco che sempre abita le parole? Rimane un paesaggio dilavato, fatto di cose che restano, semplificato dei suoi eccessi umani e mostruosi: “disteso come un lenzuolo al sole” dopo la pioggia: “un bambino” che “salta/in una pozzanghera di vermi e stelle”, p.17.
“Il paesaggio è crollo” e “chi lo guarda lo inventa”. “Siamo colpevoli, tutti,/di qualcosa”, p.19. Abbiamo responsabilità, comunque, e non possiamo sottrarci al compito, al giudizio. Non può sottrarsi l’uomo col peso delle sue azioni, delle sue scelte. Non può sottrarsi neanche il poeta con la responsabilità delle sue parole, gravate anch’esse del peso del giustissimo dire; per l’immagine, almeno, l’immagine di una città più giusta. Ricordiamo le rane di Aristotele: bellezza contrapposta a utilità di due grandissimi poeti. Necessità di scegliere ciò di cui abbiamo bisogno ora; ciò che utile alle nostre vite.
Che tipo di giustezza e bellezza sceglie di interrogare Liliana Zinetti in questo libro? Innanzitutto l’accettazione di una ignoranza. “Sappiamo così poco/e dobbiamo inventare una vita”, p.21. L’eticità di una voce: quella di un padre; il suono della voce di un bambino; le suggestioni di un paesaggio/sfondo: “Tumulto e sangue, tracce e assenza/la luna di dicembre”, p. 20.
Scegli di “disimparare anche il pianto”, di ricominciare daccapo, come se le parole potessero solo approssimarsi alla cosa, senza poterla dire mai pienamente, ma sempre nella massima tensione possibile di durezza e affetto. Le cose non esistono di per sé, non vogliono essere dette se non attraverso la voce di chi le ha già nominate e descritte (il padre) e quella dei bambini che devono ancora imparare il nome attraverso noi stessi, il nostro sguardo pellegrino alla ricerca di un senso.
Le parole, allora, si situano in un mentre, né prima né dopo, nello sfondo di un paesaggio immutato di una natura indifferente, certo, ma verso la quale noi non possiamo che essere permeati e interroganti: pellegrini di significato.
Concordo con Alberto Bertoni nel considerare questo libro un apice della ricerca di Liliana Zinetti; e bisognerà incominciare a prendersi la responsabilità di indicare libri che valgano, che possano accompagnarci nel duro apprendistato della vita indicandoci le parole e i luoghi, una stella da individuare nell’infinita, occhiuta devastazione della nostra notte.
Sebastiano Aglieco
COMPITU RE VIVI

