Questa esposizione mantiene dunque sobrietà e nitore, onestà e pregnanza, responsabilità e rispetto: tratti che da sempre caratterizzano la poetica di Giuseppe. Già, come possiamo connotare, se non definire, il suo “messaggio”, la sua missione (visto che comunque un forte intento etico è presente)?
Qui è il lettore che viene messo alla prova. Propongo di seguito alcuni (invero sporadici fra i tantissimi) passaggi che mi hanno immediatamente emozionato, ogni tanto commentandoli di corsa, lasciando a ciascuno la libertà/responsabilità di emendare, tralasciare, condividere, eludere queste mie annotazioni senz’altro parziali e modeste, ma sincere. Il libro è composto di otto sezioni indicate in carattere grassetto maiuscolo. Le più ampie sono a volte suddivise in sottosezioni indicate fra parentesi in grassetto minuscolo.
C14 (ovvero carbonio 14) si apre significativamente con la poesia Imperfetta (Appunto dell’alpinista; The North Face) e porta la dedica A te, che temi il vuoto (del resto la poesia si libra sull’informe e lo informa): «Quanto è tremendo tutto questo, chiedi. // Dai labirinti si esce sempre, è storia: / sfondare muri, imparare / a volare, scavalcare, cercare / pazientemente porte / disseminate qua e là, nascoste. // (…) Senza la paura saremmo stupidi, /cercaci il coraggio dentro / di traverso se ne necessario aggrappati. / Se dici che le mani si aprono, menti: / le mani non dicono di aprirsi.» (p. 11)
MOTI E RIVOLUZIONI – dalla poesia eponima contenuta nella breve sottosezione (disappunto del giardiniere): «(…) il giorno solare / non equivale ad una rotazione siderale / che conclude ogni suo viaggio / e lo ripete ventitré ore / cinquantasei minuti e quattro secondi; // ovunque tu guardi, sempre / ti avanzeranno due tre minuti / quasi quattro, per allacciarti le scarpe / e vedere che al tuo fianco / o incastrato nel laccio / c’è un altro.» (p. 24)
Da L’adeguato, in (dittico dell’incendio): «(…) donaci, / un’illogica caduta a precipizio / che depisti in principio la tristezza / e nel frattempo inaspettatamente / ruotaci le carte geografiche, rovescia / il mappamondo ché la caduta / verso l’alto sia, imprevedibile svista.» (p. 29). Chi è l’interlocutore sottinteso?
Da Il verbo infinito II (p. 32): «(…) tutto // ciò che può condurre / conduce noi ad un un’unica parola / e non è l’amore, sappilo, non / l’idea conchiusa, ma l’amare / la transitività del verbo idea / pronunciata – parola schiusa. // E poi l’uscita dalla idea / e l’entrata nella vita.»
In fondo l’unico verbo infinitamente aperto, attivo, abbracciante come un angolo giro è appunto amare.
APPUNTI DALL’ORTO – dai versi in esergo (p. 39): «Entrando nel bosco, la luce / diventa più vera e non perché rara; / (…) / perché non sia solo istinto d’idea / o abbozzo di perdizione o salvezza / ma la vera lucente.»
La luce ci prova (in tutti i sensi). Nel III movimento de L’attitudine del bambù (p. 52) troviamo scritto: «(…) questa / miracolosa luce rinsalda / il reale all’ideale, circoscrive / l’orlo degli accadimenti: una / proporzione topografica / l’inquadratura del tuo respiro.»
Per me è evidente che questa luce è bellezza e bontà, ma anche verità… non fa sconti, né si può sfuggirle.
Da Alberi (pp. 40 e 41): «(…) / siamo talmente presi d’assalto / che vediamo solo il piatto / delle cose, l’inodore, l’inesatto / il banale (…) / (…) sono le cose a dirci la loro semplicità / rinnovandoci) // (…) // (laddove capire equivale / a interpretare tracce, una pietra / fuori posto ad esempio / o una ghianda schiacciata) // – distinguendo la solitudine / dall’isolamento, il raccoglimento / dall’abbandono – (…)»
Anche in questi versi è in corso un dialogo con un progressivo avvicinamento a una verità da condividere.
PRESOCRATICA – da Chironomia (p. 64): «(…) / volevo vederti / nuda, ch’è diverso / da denudarti, persino / diverso da vederti).»
Amare è impegnativo, a volte neppure gratificante, anzi. Ma se non coniughiamo in qualche modo questo verbo, siamo già morti e provochiamo morte.
DALL’UNO ALL’ALTRO – da La furbizia del ginnasta (p. 75): «Questo ci preme dirvi: sappiamo / le paure (in questo siamo bravi); / che i nomi ci rendono vulnerabili, / ci espongono, / e ci sta bene.»
Da Quadratura del dubbio II (p. 81): «(…) Per il resto / vorrei solo che l’intelligenza / si facesse più acuta, tagliente: / imparare a dire con meno parole / ciò ch’è d’obbligo / e il resto averlo già dimenticato. / Con più esatte parole seminare / l’attenzione tra i giusti / e il panico tra gli altri.»
Una dichiarazione di poetica da sottoscrivere: ritengo che chi scrive poesie abbia una grande responsabilità, per certi versi anche politica.
GEOGRAFIE DELLA RICERCA – dai versi in esergo (p. 119): «(…) / lo sbaglio che in tutto / e per tutto credevi // t’avesse distrutto. Ci insegna / per sbaglio la storia: amare /del tutto // ancor più che serbare / memoria.»
Da Una poesia vuota. O ‘Della regola’ (p. 135): «(…) / ma il silenzio non si addice / alle norme false, e se falsifica / decade fuori di sé, divenendo / un motivetto orecchiabile.»
Anche la poesia nasce dal silenzio vero, altrimenti è tutt’al più un’arietta assai cantabile.
Da Sul semplice. O ‘Dell’inverso’ (p. 148): «Così ogni corpo cela sé stesso, / ogni corpo rivela / l’inverso di ciò che non è.»
Il corpo ci espone, ci dice e dice agli altri quel che siamo. Tiene traccia di noi.
GENEALOGIA DELLE DISTRAZIONI – da Non poesia. O ‘Della concentrazione’ (p. 175): «(…) // Il medioevo è in me quest’idea: l’osservazione, / l’esattezza; non importa se in difetto. / Attenzione implica attesa; l’attesa pazienza. / Pazienza, capacità di osservazione. Questa, precisione.»
Da L’educazione dei principianti II (p. 183): «(…) / penso appena prima / d’accedere allo spazio / di totale pace: “istruirsi a fare / quelle due tre cose bene (che poi /equivale a fare il bene)”.»
Da Prova del nove II (p. 187): «E infine, questa poesia andrà in giro / sorridendo agli sconosciuti, / ed è come se noi, io e te / e tutti gli altri, camminassimo / presi per mano, (…)»
Da Geografia della ricerca III (p. 190): «Come l’ala che fende e resta / sospesa nell’aria, / molto possiamo imparare / dall’aeronautica, / un semplice pensiero salvifico: / leggerezza è conquista / di chi porta ancora / un suo peso specifico.»
SPEGNENDO IL LUME – da Due punti (p. 202): «“(…)// siamo qua, tu mi stringi / la mano e non so bene / neanche il tuo nome. Eccoci / qui, a interrogarci sotto / il grande ulivo. Voltiamoci / in silenzio, chiediamo a lui”»
Come si può bene vedere dalle titolazioni e dai minimi lacerti qui sopra riportati, La prova del nove è davvero un opus magnum ricco di riferimenti impliciti ed espliciti alla Bibbia, all’Estremo Oriente, a filosofi, critici, poeti, scienziati, mistici, scrittori, artisti … ma sempre a partire dalla vita di chi l’ha scritto, dalle sue emozioni a tutto campo, dai suoi “scontri” con la realtà affettiva e lavorativa, dalle sue ferite e dalle sue conquiste. Un libro da leggere e rileggere per assaporarne le infinite sfumature, i dettagli preziosi e nascosti. Un’opera quindi che richiede una certa fatica, da assimilare a poco a poco ma dona subito, anche a una prima cursoria lettura come questa, fuochi di gioia, ombre da accarezzare e far nostre, suggestioni esistenziali e questioni etiche che ci mantengono attenti, attivi, propositivi: «A un giro di boa dalle tue contraddizioni / il ritorno dell’irrisolto richiede / che s’osservi al fondo delle cose / guardando attentamente / (…) // Vedrai / allora, l’inimmaginabile amore. / E toccherà avere attraversato / la cecità, conoscere il freddo / spinato di certe stazioni, addormentarsi / in alto nel punto più alto dove la luce / devia, svirgola / originando un nuovo percorso / nello spazio, un nuovo astro» (p. 193).

