
Con enorme rammarico apprendiamo che questa mattina è scomparso il grande studioso e traduttore classico Luca Canali.
Se l’intera cultura italiana ha perso uno dei suoi più maggiori rappresentanti, per la nostra casa editrice il lutto è molto più profondo.
Luca Canali costituiva la presenza più prestigiosa dei nostri direttori di collana. Egli con gioia ed entusiasmo fin dal 2010 aveva accettato l’idea di coinvolgere i migliori traduttore italiani per dare vita ad una serie di lavori che unissero rigore accademico con l’esigenza divulgativa. Il risultato rispecchia la personalità e il livello culturale di colui che ne è stato l’ideatore e il direttore. Nel giro di pochissimi anni la collana “diamante” della “Giuliano Ladolfi” ha pubblicato 20 opere di grande prestigio, che spaziano dalla poesia greca fino a Oscar Wilde, alla Cvetaeva.
Eppure l’aspetto che lega l’insigne studioso con le nostre edizioni è e rimane la straordinaria amicizia di cui mi ha fatto dono e di cui mi onoro. Nel 2009 si era rivolto a me per la prefazione di una sua raccolta di poesie e da quel momento abbiamo condiviso passione, idee e progettazione. Ci sentivamo quasi tutti i giorni. Con me si è sempre dimostrato non solo cortese e affettuoso, ma anche generoso e disponibile. Ci ha gratificati proponendoci una raccolta di racconti, due traduzioni (da Lucrezio e da Orazio) e due raccolte di poesie.
L’ultima sua raccolta, Semplice cronaca, aveva suscitato in me grande inquietudine, perché il professore presagiva la fine imminente.
Non si risparmiava mai nel lavoro, nello studio, nell’interesse culturale, nonostante le precarie condizioni di salute. Tornato da un primo ricovero, mi aveva telefonato, pronto a riprendere le pubblicazioni in corso.
A lui saremo sempre riconoscenti per l’insegnamento di grande spessore culturale, di disponibilità e soprattutto di generosità e di amicizia. La nostra casa editrice continuerà a proseguire negli obiettivi da lui indicati anche per perpetuare la sua memoria tra noi e nella storia letteraria della nostra nazione.
Borgomanero, 8 giugno 2014
Giuliano Ladolfi
Ultima composizione di Semplice cronaca (giugno 2013):
Quiete
Un frammento di croce
in ferro battuto, antica, con la Madonna
e un serto di rose, prelievo
dal cimitero dei miei avi
in montagna, sigillo
di ossa in pace che non bagna
pianto e non molesta
lagna di sopravvissuti, una festa
della dimenticanza.
Con la morte di Luca Canali, abbiamo perso non soltanto un grande latinista, un traduttore di razza, un maestro: è mancato anche un amico, un grande amico, capace di insegnare sempre qualcosa, ma, come pochi sanno fare, con quel tratto signorile e profondo espressione della vera humanitas, e cioè senza mai mettersi in cattedra, senza autoritarismi o inutili ampollosità.
Egli, in un certo senso, era la letteratura latina; e, insieme, era persona di squisita gentilezza, capace di dimostrare fiducia e attenzione ai giovani studiosi e scrittori, cui dedicava tempo e suggerimenti preziosi. La sua era la cordialità, il tratto affabile, rigorosissimo e insieme semplice e diretto, del vero maestro; e il suo rigore era temprato da un gusto finissimo per la parola, per la sua capacità misteriosamente evocativa, per la sua sonorità. Una chiacchierata con Luca incantava, soprattutto perché, attraverso le sue parole, Orazio, Lucrezio, Virgilio e i suoi personaggi, Turno, Giuturna, Mezenzio, Pallante, diventavano misteriosamente vivi e presenti; acquisivano corpo, spessore, voce, in una parola, Verità.
Il tratto più caratteristico di Luca Canali era però proprio il suo essere uomo di un’innata gentilezza, temperata e modellata dalla sensibilità acutissima per quel che potremmo definire Weltschmerz, il dolore del mondo, dolore universale che tutto avvolge, che egli sentiva con pervasiva e pungente profondità, quasi che fosse sempre presente agli occhi della sua anima. Da qui una consapevolezza talora sorridente, spesso dolorosa, che rendeva ahimè felicemente azzeccato ai suoi occhi il detto joyciano per cui “la storia è un incubo dal quale cerco inutilmente di svegliarmi”, e che lo rendeva attento, nella sua meditazione, letteraria e non solo, a tutte, tutte le forme di vita. Così, persino una lirica del suo amatissimo Orazio, la III, 13, si colorava ai suoi occhi di una venatura tristemente dolorosa, perchè l’accenno al sacrificio di “un capretto “sulla cui /fronte sputano appena le corna” e che avrebbe insanguinato le gelide e cristalline acque della fonte (vv. 5-8) era sufficiente a colorare di una sfumatura di tristezza un testo altrimenti di mirabile e splendida perfezione.
In uno degli ultimi testi scritti nella sua infaticabile attività di innamorato della letteratura latina e della poesia, una splendida riflessione per L’immaginazione (n. 279, gennaio – febbraio 2014, p, 30), Luca Canali illustrava il suo Sogno di un mondo nuovo, una breve riflessione, di sapore utopistico, in cui, con la sua sensibilità acutissima e piena di pietas, si soffermava a immaginare un universo senza più dolore, senza sciagure, siano esse di portata mondiale o cosmica, o piccole, ma ugualmente brucianti, senza più la sopraffazione del forte sul debole, senza più “guerre lunghe e spietate, corruzioni d’ogni tipo (…), senza più energia atomica distruttiva, e i barbari divertimenti dell’uomo come la corrida, la caccia alla volpe (…), la pratica della tortura, della caccia alle streghe e della semplice caccia per sport e diletto”, per non tacer “del Vietnam, della Cambogia, Guantanamo” e altre atrocità.
Arrivederci, Luca: dovunque tu sia ora, io ti auguro e spero con tutto il cuore che tu possa aver finalmente incontrato la serenità di un simile mondo.
Silvia Stucchi

