Se la percezione della bellezza fosse un fatto del tutto soggettivo, dipendente dal gusto individuale, non avrebbe senso far uso di un termine – bellezza, appunto – che come ogni oggetto del linguaggio serve a identificare qualcosa di comune. Portarsi in una dimensione condivisa per conoscere questo qualcosa non significa abbandonare il terreno dell’emotività in favore di una razionalizzazione del problema. E del resto, come sarebbe possibile? La bellezza è tale perché provoca un tipo di risposta emotiva. Questo libro cerca di individuare il significato dell’esperienza estetica del bello e di spiegare perché essa sia solitamente accompagnata da un vago senso di caducità. Incombe il timore che della bellezza si possa rimanere orfani, dovendoci poi accontentare di sognarla, ricordarla, idealizzarla.
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