Quasi settant’anni di storia separano il lavoro letterario di Mario Greco dal commento postumo del figlio Libero, un’analisi approfondita su una considerevole parte di storia della seconda metà del Novecento, un secolo che ha visto capovolgere le sorti del mondo.

Mario Greco, magistrato e filosofo, muore trentanovenne nell’ottobre del 1951, lasciando in eredità alla letteratura una raccolta di poesie crepuscolari di intensa umanità più altri scritti di narrativa.

Ananke è un romanzo che tende a raccontare in modo velato il disagio che vive Mario Greco nello svolgere il complesso lavoro di Pubblico Ministero.

Libero Greco, il figlio, questo disagio lo conosce da sempre e usa il racconto del padre come occasione per sollevare una serie di riflessioni su una mentalità che da lì a qualche tempo sarebbe cambiata, dovendo fare i conti con una società mutata e assai diversa.

Si tenga conto che gli Anni Cinquanta vedono apparire sullo scenario mondiale una raffica di novità tecnologiche ed informatiche che erano ignote fino a qualche tempo prima: un vero rovesciamento di ruoli e consuetudini che modificheranno non solo la mentalità ma anche il comportamento. Da quegli anni in avanti le cose non saranno più uguali. Nelle case entra in uso la televisione, compaiono i primi computer, nel cielo volano i jet, le città vengono ricostruite, la povertà diminuisce, si guarda al futuro con minore ansia.

Libero Greco di questi e altri aspetti ci vuole raccontare sottoponendo il lavoro letterario del padre ad una critica affettuosa, ma ferma, senza tentennamenti filiali. Vuole misurarsi sul piano generazionale e culturale di quel tempo.