La raccolta di Luigi Finucci si presenta come un vero e proprio inno alla vita appartata, all’esistenza comune, appannaggio di ogni persona, ideale ben lontano dalla moda odierna improntata alla ricerca spasmodica della scena, del riflettore, della “vita spericolata”.
Ci troviamo di fronte non a un trattato filosofico, ma a un vero e proprio documento di vita, nel quale l’autore non solo traccia l’itinerarium personale, ma anche sa riprodurre da poeta la “magia del sussurrato”, quasi un colloquio dell’anima con se stessa e con il mondo, quasi “svelamento” di una sofferenza e di una ritrovata serenità (Giulio Greco).
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