Angelo Lacchini apre questa tetralogia poetica con una lettura cristologica della guerra di trincea: in una ardita analogia, le stazioni della Via Crucis riferiscono le sofferenze, i patimenti di un “milite ignoto” al quale è prestata la voce per raccontare il proprio martirio.
Nella seconda sezione, il poeta torna nell’alveo prediletto dei rapporti tra fede mariana e poesia: il sensus fidei, nutrito sempre di concetti e lessemi elevati e mai a rischio di slittare nella deriva di un devozionalismo acritico, s’intreccia inestricabilmente con il vissuto, con l’itinerario personale del “mariologo”.
Nelle ultime due sezioni, l’impostazione tende a farsi più esistenziale, più “situazionale”. Si intensificano le montaliane “occasioni”, gli spunti realistici che forniscono l’innesco per meditazioni sul rapporto immanenza-trascendenza, sull’impalpabile eppure incombente confine tra la vita e la morte.
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