Il saggio analizza “Il Conte di Kevenhüller” (1986), ultima opera pubblicata in vita da Giorgio Caproni: un libro di poesia esemplato sul modello di un’opera lirica, in cui si racconta la caccia allegorica e gnoseologica di una fantomatica Bestia. L’autore di questo testo, ripercorrendo consapevolmente tutti i passi dei personaggi caproniani, tenta di riempire di significato questa «allegoria vuota», studiandone temi, fonti e ricorrenze, e analizzando anche gli influssi delle varie opere precedenti dell’autore. Tenendo sempre di fronte i testi e le parole del poeta, il saggio cerca di dimostrare che l’impossibilità di circoscrivere la Bestia – in maniera non dissimile da quanto accadeva nel Muro della terra – è un problema di conoscenza tutto umano, una limitatezza della Ragione. E se la ricerca di questa Bestia – come di ogni altro oggetto – è intrapresa mediante il linguaggio, per Caproni, non vi può essere reale conoscenza, perché questo si sostituisce all’oggetto della ricerca: la Bestia tragicamente diventa il linguaggio, che la vela e la nasconde.
Vincitore del Premio letterario di poesia, critica e traduzione «Atelier, vent’anni di poesia» nella sezione studi critici (2016)
Per offrire il miglior servizio possibile questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione si autorizza l’uso.
To offer the best possible service this site uses cookies. By continuing to browse, you authorize use.