(ITALIAN only)
di Mariagrazia Carraroli
In quest’ultima, undicesima sua raccolta poetica , più ancora rispetto alle precedenti, si percepisce di Abramo Saporiti l’assidua frequentazione della Bibbia che dona sostanza e sostegno alle riflessioni, alle indagini, ai dubbi e agli stessi slanci lirici dell’autore.
Una beatitudine apre la silloge :
Sian benedette le veglie notturne/ nel crogiolo della solitudine! (p.11)
e un richiamo al Libro 1° dei Re, ad Elia sul monte Oreb e al suo incontro con il Signore, la chiude, richiamo che Saporiti così traduce e attualizza :
Non nel grido squarciante/ ma con la voce del silenzio/ Dio venne tra fuoco e fuoco/ a visitare Elia,/ e con voce sottile viene a noi. (p.95)
QUI E ORA E L’OLTRE , il titolo del libro che tende ad arco o a ponte la parola meditativa del poeta tra la consapevolezza del momento presente e il mistero che sopravanza.
Diario ha definito l’autore le pagine della raccolta, liturgia delle ore sono tentata di chiamarle io, per l’impianto biblico e la cadenza sapienziale ( già ben evidenziata dal prefatore G. Ladolfi ) che sostanziano i testi.
La parola di S. innestata nella Parola acquista luce di cristallo ed una rinnovata essenzialità, qualità quest’ultima da sempre perseguita dall’autore in lunghi anni di scrittura e testimoniata dalle sue precedenti dieci pubblicazioni poetiche.
Il desiderio citato dal poeta in esergo ( Non chiedermi/ dove prenda vigore il desiderio ) è il filo conduttore che tesse la trama del libro fin dalla prima lirica :
Poiché opaca immagine/ di ciò che dovrei essere…/ chiedo ali al desiderio (p.11)
una tensione, questa, che S. individua nella sete di tornare alla sorgente (p.43) generatrice d’ogni compimento, un’ansia che redime l’inquietudine del quotidiano per connotarne l’aspetto dell’umiltà, compiendo la grazia di illuminare l’agire.
Dentro il contorno sapienziale del desiderio e soltanto nel perimetro glorioso di tale tensione, il poeta può comprendere che essa è sete di azzurrità (p.81) tale che anche di dubbi e paure squarcia l’opaco a intravedere la speranza. Anche, e direi soprattutto, libera l’uomo dal buio della morte cristianamente considerata dall’autore come porta spalancata sull’eterno.
Così il poeta può affermare :
Quando uscirò dal corpo/ e uscirò dal tempo/ riuscirò a abbracciare/ gli angeli protettori/ che hanno leggerezza d’aria/ e le sembianze umane. (p.84)
Sostenuto da una fede temprata dalle prove della vita e da sempre accompagnata da inquietudine e dubbio, Saporiti riesce a trasformare il desiderio, parola chiave di tutta la raccolta, in tensione/ ad un meglio definito chiarore e nella capacità di raccogliere dentro il silenzio della sua poesia umilmente da lui definita povera , la voce sottile del Dio che viene.
Una poesia povera soprattutto perché rifiuta il superfluo tanto da abbandonare più volte la voce verbale.
Un esempio per tutti a pagina 45 :
Ampia maternità della natura!/ Sopra gli alberi il cielo/ e sopra il cielo un altro cielo/ e un altro cielo ancora, all’infinito.// Sopra l’infinito, l’eterno.
Una poesia che talvolta sembra balbettare, insistendo parole a sottolineare un concetto. Modalità questa non consueta all’autore e non rilevabile nelle precedenti pubblicazioni.
Ne troviamo conferma, per esempio, in una poesia a pag.41:
E solo per grazia, sulla palude/ Solo per grazia,/ sulla palude/ di una inguaribile gracilità/ vedo spuntare già una stella.
L’ultima fatica poetica di S. riluce di immagini e sinestesie e la spoliazione del verso in cui, come sottolineavo all’inizio, l’autore è costantemente impegnato, arricchisce la poesia di trasparenze, così che :
la parola (….)/ se scritta buca il foglio/ se pronunciata cambia/ la ciotola in pisside (p.55).
Una parola immersa nella Parola. Una parola, cioè, che, come afferma il filosofo, scienziato russo Pavel Florenskij ( Il valore magico della parola Ed. Medusa 2005 p.33 ) è:
lampo che straccia il cielo da est a ovest e rivela il senso incarnato, una parola ponte tra IO e non IO e che Saporiti auspica sia usata con la stessa misura del sacro :
Sono navigatori i nostri poeti./ Sia concesso loro/ di essere anche santi. (p.55)
Meditazione, lode, canto definirei il lavoro ultimo dell’autore che, fidanzato col mistero, abbraccia ricordi e nostalgie per vivere meglio il presente e che nello spazio dell’eremo si sente ospite dell’eternità.
E’ anche spartito questo suo diario poetico, perché riprende le note del libro precedente SULLA QUARTA CORDA con andamento contemplativo d’Oratorio dove il coro inneggia:
Beati quelli che sanno guardare/ oltre le cose.
Una beatitudine, questa, nella quale possono trovare accoglienza oltre ai mistici e ai filosofi, anche i poeti.
Mariagrazia Carraroli
Firenze, Casa di Dante, 24 ottobre 2013